TPS #3: An interrupted time, a cura di Pino Musi

“An interrupted time” è il lavoro del gruppo coordinato da Pino Musi con Pietro Massimo Nicoletti, Giulia Arantxa Novelli, Flaviana Frascogna, Tommaso Gallinaro e Alessandra Sarritzu.

Fulcro dell’edizione di quest’anno sono stati i tre laboratori nei quali sono stati suddivisi i 15 partecipanti, guidati da tre maestri d’eccezione: Pino Musi, Marco Delogu e Tim Davis.

Ai tre fotografi di fama internazionale è spettato il compito di coinvolgere, trasmettere, condividere e rendere fluida la struttura organizzativa dei laboratori che, sebbene divisa, ha fornito ampia possibilità di confronto, spunti e contaminazioni sia con gli altri partecipanti che con i responsabili dei singoli laboratori e con gli ospiti di The Photo Solstice #3.

Pino Musi condivide con noi alcune considerazioni su come con il suo gruppo ha condotto il lavoro verso una dimensione collettiva.

“L’insediamento industriale di Ottana si è presentato ai nostri occhi come territorio stratificato, complesso e spesso disarticolato nella sua morfologia. Ci è stato impossibile creare, nei pochi giorni del nostro laboratorio, quel sostanziale raccordo che ci eravamo ripromessi, fra un passato controverso fatto di promesse di sviluppo non mantenute, di attuazione di un forzato sradicamento di una cultura rurale a favore di una (illusoria) prosperità industriale, ed un presente composto da un paesaggio per lo più desertificato.

Quindi abbiamo deciso di concentrarci principalmente sull’esploso dei segni frammentari tangibili sul territorio, sulle scorie del passato, sulle masse ambigue di una situazione di (apparente) cantiere in divenire. E lo abbiamo fatto con una scelta precisa, quella del lavoro di gruppo, dove ogni presupposto individuale dovesse essere verificato nel confronto collettivo sui materiali, in modo da ottenere l’intreccio dei vari segmenti di ricerca. Senza pensare di poter chiudere il progetto, ma solo di aprirlo alla riflessione comune, sono stati quindi adottati alcuni riferimenti seminali che potessero far da traiettoria all’interpretazione fotografica del territorio: dal lavoro di Lewis Baltz, a quello di Sophie Ristelhueber, passando per il pensiero di Robert Morris e la sospensione delle forme di Ellsworth Kelly.

Alcuni, come Pietro Nicoletti, Giulia Arantxa Novelli e Flaviana Frascogna hanno lavorato sull’articolazione della dimensione spaziale, il primo cercando relazioni fra i volumi industriali ed una vegetazione, intrisa di polluzione, che li va ad avvolgere ed a modificare;

la seconda, Giulia Arantxa Novelli, proponendo una visione da post catastrofe dove le forme residuali del territorio vanno a contaminarsi fra di loro creando un’archeologia del presente;

la terza, Flaviana Frascogna, lavorando esclusivamente sul piano orizzontale, laddove sono visibili inquietanti smottamenti del suolo, come se al di sotto del terreno ci fosse un corpo compresso che tende a emergere.

Tommaso Gallinaro si è orientato verso un’azione performativa, trasportando frammenti industriali sempre nello stesso interno e nello stesso angolo, creando superfetazioni di materiali in chiave sculturale per poi fotografarli;

Alessandra Sarritzu, con squisita sensibilità femminile, trasmettendo tutta la positività del suo sguardo, si è concentrata sulla dolcezza di quei rari elementi naturali, fiori, sottili fili d’erba, quasi a cercare di redimere quel territorio.”

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