Vi presentiamo il lavoro dell’ultimo gruppo che ha preso parte a questa terza edizione di The Photo Solstice, quello guidato da Marco Delogu con Giulia Bernardi, Guglielmo Cherchi, Simone Deidda, Federica Falcone e Vincenzo Pagliuca.
Marco Delogu, che ha preso parte a The Photo Solstice #3 nella duplice veste di Direttore Artistico e Tutor, condivide con noi alcune considerazioni su come con il suo gruppo ha condotto il lavoro, incentrato su una rivisitazione del mondo barbaricino.
Ho chiesto ai cinque partecipanti del mio gruppo di lavorare sul ritratto, di realizzare cioè delle fotografie che restituissero un ritratto del paese che ci accoglieva, Gavoi. Di provare quindi a mettere molto di loro stessi all’interno delle fotografie e di non limitarsi al ritratto delle persone, ma di provare a estenderne il concetto al paesaggio. Nonostante un inizio forse titubante, dettato probabilmente da uno spaesamento iniziale per chi non è sempre abituato a fare della relazione tra ritratto e paesaggio l’elemento portante del proprio lavoro, il risultato si è tradotto in lavori molto validi, con una propria individualità. Ma anche capaci di legarsi tra loro nei contenuti e costituiscono quindi un ottimo punto di partenza per un ritratto corale del territorio, inteso particolarmente nella sua “normalità” ed escludendo quindi il pittoresco, la banalità, e altri elementi come il sensazionalismo e la drammaticizzazione.

Simone Deidda decide di lavorare sul calcio, rito mondiale e molto sentito a Gavoi. Parte da una sua ricerca già avviata e lavora su due generazioni, i bambini che circondano il campo e i calciatori della squadra locale ed i loro avversari, per finire con un lavoro in progress sul rapporto tra i campi sportivi ed il paesaggio barbaricino che sarà sviluppato in questi mesi.
Federica Falcone, di origini sarde ma parigina di adozione, torna sempre più spesso in Sardegna per fotografare il mondo pastorale, e ne è stata così tanto attratta che medita di avere un allevamento suo. Il suo è un lavoro di ritratti che si concentra su una simbologia profonda e la unisce a facce più tradizionali. Anche qui il rapporto tra la sua identità e quello che vuole fotografare e’ molto stretto. Molto efficace la foto dell’anziano con il libro in mano, del pastore ottantenne che cammina e del pastore giovane in cima a un cumulo di resti di un vecchio nuraghe, cosi’ come “Francesca” sul sasso e i pantaloni stesi.
Giulia Bernardi si concentra sull’universo femminile di Gavoi. In questa serie appaiono due donne: una è una bambina, l’altra è una ragazza più grande, che sfoggia una vistosa maglietta rosa e potrebbe essere un ritratto scattato in Texas, ma la scritta “Barbagia” (con lo stesso lettering di Barbie) ne tradisce la provenienza. Tra questi due ritratti c’è molta terra, molta roccia, la materia di cui è composta Gavoi.
Guglielmo Cherchi inizia il suo lavoro con il ritratto di un giovane perfettamente composto in una architettura di base. Da questa fotografia si arriva in chiusura alle bandierine sotto un cielo grigio nella piazza della chiesa, passando per molti altri ritratti che si alternano a foto di luoghi non immediatamente riconoscibili, ma di forte impatto, generando uno stretto dialogo tra le figure umane ed i luoghi.
Vincenzo Pagliuca ha forse l’approccio più minimalista, concentrando il suo racconto sui muri e gli angoli delle case di Gavoi vuoti, con una colorazione quasi monocromatica, inserendoci pochissimi ritratti ma di forte effetto e concludendo la serie con una “domus de janas”, che sarà la strada per i suoi prossimi lavori.